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20 Agosto 2016
Il mondo di Saragei Antonini in Sotto i capelli una nave (Edizioni Forme libere, 2010) sembra consistere in un piccolo perimetro domestico, sul quale un lembo di campagna si affaccia; ed è una festa di metafore e similitudini fresche: «giorni [...] vi porto a casa / come selvaggina»; «il volto dorato come un campo»; «si sente la pioggia / battere i denti». Velata dal fascino della fiaba, Antonini ci racconta la sua vita come se fosse in esilio, ma senza drammatizzare la solitudine che pur traspare («non so su chi scommettere / i miei piedi freddi»), anzi giocando con il tasto di una pacata autoironia, in un tempo in cui nulla può ancora succedere di drammatico perché forse avviene dopo un naufragio ben chiuso nella stiva della «nave», «sotto i capelli», là dove cova l'ombra, a anche la via del rifugio. Cito non a caso Gozzano perché, oltre all'ironia, in entrambi è appunto la fiaba a smussare i pericoli del mondo, a renderli tollerabili. Inoltre, come talvolta in Gozzano, ed anche in Antonini ciascuna poesia sembra la poesia del giorno, come se fosse un menù, lei che di professione cucina per gli altri. Che la vita in questo recinto sia stretta appare evidente («da qui c'è solo campagna / chiusa campagna»), eppure, con una figlia che le «dà il pane delle sue guance [...] da femmina a femmina», può resistere ad oltranza, scrivendo come esercizio di autoauscultazione, di verifica del proprio equilibrio interiore, compiendo i soliti gesti, ma che non spaventano e danno il ritmo che serve per non vedere, o farlo soltanto di notte, quel nulla che sotto la superficie preme, chiama, «si porta via l'oro tra le foglie». Stefano Guglielmin (dal sito blanc de ta nuque)