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22 Luglio 2013
Mirna cammina “appoggiata a stampelle d'aria” da quando suo marito Pete l'ha lasciata e vorrebbe sostituire la vita con il sonno, per non sentire più le persone giudicare e far pronostici sul suo matrimonio fallito. Ha una figlia poco più che ventenne, Mia, che come lei – o forse ancor di più – soffre della mancanza di Pete. Per questa famiglia spezzata sono giorni bui, ma ne arriveranno di più neri perché nel corpo di Mirna si svilupperà presto un'improvvisa e devastante malattia. In attesa di un donatore compatibile e di un trapianto di midollo, l'unico sollievo per lei saranno i versi delle poesie più amate che s'infileranno tra i pensieri, tentando di ricucirle la vita. “I facci de dutturi su strati senza signali” (le facce dei dottori sono strade senza segnali) ha scritto una donna che ha sofferto dello stesso male: forse, si può guarire soltanto ammalandosi... Angela Bonanno, autrice catanese delle raccolte poetiche in dialetto siciliano Nuatri e Setti Viti comu i jatti e del poemetto Cu sapi quannu, si misura con la prosa nell'Antologia della malata felice. Storia di una madre e di una figlia legate da un rapporto non semplice (“Mia amava sua madre come da manuale, perché era sua madre, ma non l'apprezzava. Un esame insuperabile”), che si trovano ad affrontare il grave problema di salute di Mirna – probabilmente è la leucemia, come lascia intendere questa frase: “Sangue bianco, in greco suonava così. Il sangue era bianco nel suo corpo al novantotto per cento, il rimanente due conteneva tutto il suo pensiero.” Quel che sembra importi di più alla Bonanno non è la trama, bensì la lingua con cui raccontare: lirica, intima e piena di versi altrui – Montale, Neruda, Prévert, Plath e altri, tutti citati in appendice. Alternando al decorso della malattia continui flashback (un viaggio in Olanda, una fuga da casa, un anello trovato per caso...) si ricostruiscono le vite delle due donne, il loro legame con Pete e quello tra Mirna e sua sorella Norma; quest'ultima ha tutto ciò che manca all'altra: è ordinata, ha avuto un matrimonio felice e Mia le vuol bene. La scrittura è un flusso di coscienza intenso e musicale, ma si ha l'impressione che a volte l'autrice presti più attenzione a creare immagini inusuali (piedi che somigliano a “gigli spampanati”) che a restituire al lettore una visione nitida della vicenda. La tragedia di Mirna, infatti, s'intravede solo a tratti, nascosta nell'ombra densa di una foresta intricata di parole e occorre fare uno sforzo, srotolare frasi, decifrarle, per addentrarsi nell'Antologia della malata felice. Non è una lettura semplice, forse perché c'è persino troppo in questo libro: un'antologia di versi, un tema scomodo e doloroso e il tentativo – lodevole, anche se non del tutto riuscito – di fondere la poesia con la prosa.